Ieri è venito a mancare l’attore egiziano Omar Sharif, indimenticato interprete di grandi film come “Lawrence d’Arabia” e “Dottor Zivago“. Aveva 83 anni ed era nato ad Alessandria d’Egitto.
Diplomato all’inglese Victoria College, laureato in matematica e fisica al Cairo, scoprì il cinema quasi per caso nel 1953 grazie al regista Youssef Chahine, che lo scelse per Lotta sul fiume.
Il suo vero nome era Michel Dimitri Shalhoub. La scelta di cambiarlo era legata al grande amore che ha avuto per la donna della sua vita Faten. Per ottenere il consenso dei genitori della sposa si era convertito all’Islam e aveva scelto come nome che Omar El Sharif.
Con questo nome si presenta a David Lean che sta scegliendo il cast per Lawrence d’Arabia nel 1961
Lean gli affida il ruolo dello Sceriffo Alì, tra Peter ÒToole, Anthony Quinn e altri attori del cinema anglosassone. Il suo ruolo sarebbe da comprimario, ma lui lo trasforma. La nomination all’Oscar del ’63 è la naturale conseguenza e gli apre le porte di Hollywood.
Lean lo traveste da russo per l’adattamento del ‘Dottor Zivagò (1965). Il successo è planetario, accompagnato da un Golden Globe.
Omar Sharif sceglie il piacere della vita: torna in Europa per ‘C’era una voltà di Francesco Rosi, e per ‘La notte dei generalì di Anatole Litvak , canta con Barbra Streisand in ‘Funny Girl’ e si innamora istantaneamente della diva americana. Poi si inventa Arciduca asburgico per ‘La tragedia di Mayerling’, veste i panni del ‘Chè, si avventura nei western all’italiana (‘L’oro dei McKennà), va in Francia (‘Diritto d’amarè) dove ritrova la Streisand in ‘Funny Lady’ (1975). Sono passati poco più di dieci anni dal primo successo internazionale e Omar Sharif ha già visto tutto del cinema mondiale.
Allora la svolta. Pubblica il suo primo manuale di bridge ed entra nella lista dei ‘top players’ del gioco. Non senza dramma però:
«Finisci a fare una vita – racconta nella sua autobiografia – in totale solitudine: alberghi, valigie, cene senza nessuno che ti metta in discussione. L’attrazione del tavolo verde per me diventò irresistibile. E ci ho sperperato delle fortune. A un certo momento ho capito e ho deciso di smettere anche con il bridge per non sentirmi prigioniero delle mie passioni». «Facevo film per pagare debiti – ricorda ancora – e alla fine mi sono stufato».
L’incontro con il francese Francois Dupeyron lo salva. Con il film ‘Monsieur Ibrahim e i fiori del coranò” che alla Mostra di Venezia nel 2003 gli fa conquistare il Leone d’oro alla carriera. Riconquistato pubblico e critica, finalmente sembrava un uomo placato seppure sempre circondato dalla leggenda delle sue furibonde collere, delle sue spettacolari bevute, della sua proverbiale galanteria.
L’ultima fase della sua vita lo ha visto impegnato nella battaglia contro l’Alzheimer fino a ieri, quando un attacco di cuore lo ha stroncato a 83 anni, in un ospedale del Cairo.
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